venerdì 31 gennaio 2014

Matteo Renzi è il più figo del mondo perché...


Perché i bambini fanno oh, perché gli altri lo sono di meno, perché quanto è bello essere italiani, perché l'immobilismo aveva bisogno di una spinta propositrice, perché c'è una rivoluzione culturale in atto, perché i social network, perché il linguaggio nuovo, la macchina è nuova, la casa è nuova e nulla di nuovo sotto il cielo italico.

Considerazione di carattere generale: che il giornalismo assuma su di sé il compito di lodare un qualsivoglia uomo di potere è già un'operazione disgustosa che si potrebbe tranquillamente evitare in nome della storiella sul quarto potere, sul controllo che la stampa esercita eccetera eccetera.

Che in questo momento parte della stampa italiana sia impegnata in un'esegesi accomodante del vangelo secondo Steve Jobs from Maremma Maiala, rientra appieno in quegli innamoramenti adolescenziali con data di scadenza sul retro di cui si sono fatti carico i giornalisti nazionali nel corso dei decenni: Della Valle, Montezemolo, Marchionne, Prodi, Renzi, Berlusconi, Vendola, Veltroni, D'Alema, Craxi, Obama e chi più ne ha più ne metta.

Non tutti i giornalisti in ogni tempo e in ogni dove, ma tutti i giornali in luoghi diversi e tempi differenti - questo è un dato di fatto, con tanti saluti al "cane da guardia" di matrice anglosassone (e anche oltre Manica se ne potrebbe discutere).

Lo dico perché aprendo in simultanea Corriere e Repubblica in questo grigio giorno nell'anno di nostro Signore 2014 si ha l'impressione di avere a che fare con una simpatica operazione di propaganda light, quella che sostiene che oggi ci sia bel tempo solo perché ieri mattina nevicava.

Una massa indistinta di editoriali, articoli di cronaca, fondi, letterine a Babbo Natale, slinguazzate come non se ne vedevano da tempo, a occhio e croce dal novembre 2011, quando la sorte ci regalò con viaggio di sola andata un pacco contenente Mario Monti e la sua folta schiera di tecnici-messia venuti a salvarci. Come finisce la storia lo sapete tutti: i tecnici aveva saltato l'ora di scuola in cui si insegnavano le tabelline per correre direttamente alla lezione sulla derivata prima. E quando s'inizia a correre prima di aver imparato a camminare ci si fa molto male.

Giannini su Repubblica, Maria Teresa Meli sul Corriere, addirittura Michele Serra, è tutto un profluvio di complimenti celati sotto la coltre dell'analisi obbiettiva dei fatti: l'accordo Renzi-Berlusconi sulla legge elettorale è finalmente qualcosa di concreto, in un  paese destinato all'immobilismo politico - si dice.
"Al netto di ogni discussione, l'Italicum, qualora arrivasse in porto, avrebbe una caratteristica decisamente unica, e alla luce del recente passato addirittura straordinaria: quella di esistere" Così scrive Serra nell'Amaca quotidiana.

Ma quel  "qualora" non è già una sufficiente ragione di sospetto per smetterla di cantare a squarciagola le lodi del nuovo sovrano? E poi cosa vuol dire "al netto di ogni discussione"? La politica è esattamente "discussione", è far valere dei principi su degli altri senza l'arma del ricatto o dell'imposizione violenta, perché per fare ciò non servono i parlamenti - modello verso il quale corriamo spassionatamente a mille all'ora, con le camere dei rappresentati destinate a "prendere o lasciare" e diventare dei semplici organi di ratifica delle volontà dell'esecutivo - bastano i decisionismi sfrenati delle tirannie e delle dittature.

Inoltre si comincia anche a dubitare delle bontà o della buona fede di chi asserisce che l'Italia è un paese impantanato nelle proprie regoluzze e regoline, dalle corporazioni o dai sindacati, dall'ampio spettro cromatico dei partitini che pongono veti e contro veti all'ammodernamento del sistema paese, dalla Costituzione - insomma da tutte quell'ingombrante lascito preistorico del ventesimo secolo.

Non è proprio così: nonostante le barriere del '900, che un tempo chiamavamo diritti prima dimenticare il vocabolario al cesso della governabilità, chi in questi anni ha voluto con forza approvare leggi, convertire decreti a colpi di fiducia non ha avuto particolari impedimenti nel farlo, o quantomeno non così drammatici come li descrive Giannini con immagini evocative degne di Guccini, "sistema pietrificato", "il convoglio riformatore si è messo finalmente in marcia", "la nostra democrazia bloccata".

Ricordiamo perfettamente che il "Porcellum" ha attraversato indenne in tre mesi tutti gli scogli dell'inferocito parlamento italiano, a botte e bottarelle di maggioranza berlusconiana, come della riforma Fornero si parlava a Gennaio 2012, ti giri un secondo per ordinare un caffè al banco e ti svegli ad aprile con la legge fatta, finita, emendata (o non emendata in quel caso e se ne sono accorti gli esodati), firmata dal presidente e pubblicata in gazzetta ufficiale. Tre mesi da casello a casello senza beccare nemmeno un autovelox.

E ancora: vi ricordate di giganteschi dubbi amletici quando si è trattato di varare il lodo Alfano nell'estate del 2008 a elezioni concluse da due mesi, o di approvare il generoso scudo Fiscale partorito fra i commercialisti dello studio Tremonti a Pavia?

Io ricordo dei Freccia Rossa legislativi senza inibizioni e questo mi dimostra che quando esiste la volontà politica di approvare un disegno ritenuto fondamentale (come far rientrare i capitali occultati all'estero in cambio di una moderata mancia al cameriere) non ci sono impedimenti di sorta, i nostri amministratori sono i migliori del mondo, i più veloci, gli eroi di ogni eiaculazione precoce che si rispetti.

Certo per cambiare la Costituzione esistono dei vincoli un po' più stringenti, ma Matteo caro è ovvio che sia così anche se il tuo gemello Silvio e qualche altro genio della sinistra tipo Violante insistono a dire di voler semplificare le procedure per le modifiche costituzionali: non può essere semplice cambiare la "Carte delle Carte" perché altrimenti assisteremmo ogni due per tre a sconvolgimenti dell'impalcatura giuridica del paese che non sono né corretti per la logica della democrazia, né efficienti per quella del decisionismo - perché vi voglio vedere a decidere in un paese dove non è ancora chiaro se l'Abruzzo è una regione o una provincia, riscuotere le imposte sapendo che un giorno la tassazione è progressiva, l'altro una tantum,  l'altro ancora invece è stata convertita in giornate gratuite di lavoro di cui il feudatario può disporre nell'arco dell'anno solare.

Cazzo lo sapeva Andreotti nel 1946, possibile che non lo capisca RenziPhone5?

E se la stragrande maggioranza dei giornalisti non avessero perso per strada la capacità di ragionare, alcune di queste riflessioni ci sarebbero sulla stampa istituzionale: non sempre, non dappertutto per carità questa è un'opinione (anche se le cose dette sono dei fatti) e ci mancherebbe altro che il Corriere non fosse una testata pluralista che dà spazio al grande magnate finanziario come anche la piccola fiammiferaia. Però non si può aprire il giornale al mattino - il momento peggiore della giornata, quando la morte o quanto meno un sonno perpetuo ti sembrano una soluzione più che degna allo stallo parlamentare - e trovarvi scritto sopra che l'Italia prima dell'ascesa di Renzi era un paese immobile, sommerso da buchi neri antimateria. Non solo questo almeno.

Perché non diciamo le cose come stanno? L'Italia non è un paese né immobile né dinamico, come del resto nessun'altra contea del mondo o della Terra di Mezzo o della Galassia.
L'Italia si muove al passo di danza preferito dalla storia, quello della casualità nei confronti della quale si può - entro determinati margini - agire politicamente per migliorare (o peggiorare la situazione).
La verità è che è il governo Letta a non muoversi per totale inettitudine dei suoi membri, mentre gli altri governi che abbiamo avuto negli ultimi quindici anni si sono tutti "dati una mossa" anche se in direzioni differenti e spesso distruggendo più che creando.

Ma chi si contraddistingue per il totale attendismo e immobilismo è solo ed unicamente il governo Letta: nove mesi di farsa degna del Moliére su una minuscola imposta sull'immobile che non ha mai creato problemi in nessun angolo del globo prima che il piazzista di Arcore, con a ruota tutti gli apprendisti stregoni, la facesse diventare una battaglia di vita o di morte.
Una Legge di Stabilità che ricorda il gioco delle tre carte, dove si taglia spesa pubblica per coprire mancato gettito, dove si impongono aliquote più alte sui consumi per tagliare qualche zerovirgola di tassazione sui redditi delle persone fisiche (che però al contrario di quella sui consumi agisce progressivamente e quindi favorendo la redistribuzione della ricchezza).
Una pagliacciata di ministri e sostenitori che ballano il tip tap sui tizzoni ardenti della politica nazionale e internazionale che gli finiscono fra i piedi: la Shalabayeva rovina in meno di ventiquattro ore la fama di Angelino Alfano detto Il Responsabile - tranne che delle sue azioni. La Cancellieri e le amicizie di famiglia, la De Girolamo che comanda a Benevento, la Idem e i problemi di residenza, la Bonino e il terrore di pronunciare male la lingua Tamil, Saccomanni e le previsioni sempre, tutte, immancabilmente sbagliate sull'andamento dei fondamentali indicatori economici.

E adesso l'attesa messianica che un quarantenne fiorentino inesperto (perché per ora solo sindaco di Firenze e presidente della provincia - a voglia a mangiarne di pastasciutta) tiri fuori tutto l'esecutivo dalle sabbie mobili nella quali è impantanato.
Se ci aggiungiamo che quando Renzi, non dico parla, ma pensa all'economia un brivido lungo la schiena scorre sulle spine dorsali degli studiosi della materia, si capisce che le tanto agognate speranze di aver "rimesso in marcia il convoglio riformatore" assomigliano sempre di più all'oasi di palme che vede l'assetato in mezzo al deserto.

Lo dico per gli uditi un po' restii della stampa mediterranea: fatta tara delle promesse, degli impegni vivi, delle sollecitazioni e quant'altro Renzi da segretario del Partito Democratico non ha ancora combinato un accidenti di niente e di mesi adesso ne sono passati due. Non male per uno che esordiva a inizio gennaio con la frase, già trapassata alla storia, "la legge elettorale si fa in sette giorni".

Paradossalmente lo stesso motivo che impedisce ai detrattori di criticare le sue azioni ("è passato poco tempo, lasciamolo lavorare"), impedisce ai fenomeni dell'applauso di parlare di "svolte politiche", "accelerazioni nel piano delle riforme", "frecce di sorpasso" e altre amenità tratte dall'immaginario dei videogame.

I detrattori ideologizzati (parola che suona come una bestemmia oramai ma del resto l'ideologia è quella liberista quanto quella socialista egualitaria, quella cattolica come anche il laicismo - bisogna solo decidere per cosa parteggiare) possono sempre consolarsi con critiche a priori sul modo di intendere la politica, il ruolo del leader, il mercato del lavoro, l'apertura sui diritti civili o in genere tutti quei fattori che in questi anni sono emersi come tratti di distinzione dell'uomo pubblico Renzi.

Non avrei alcun problema con un editoriale che mi dicesse "Renzi ha un idea del mercato del lavoro nel senso della flessibilità in entrata" ma comincio ad avere un sacco di problemi se lo stesso editoriale sostiene che "Renzi ha realizzato un mercato del lavoro flessibile", per il semplice motivo che questa è una fandonia.

Il mercato del lavoro flessibile, ammesso e non concesso che sia una grande trovata (non concesso azzarderei) non è frutto del lavoro politico di Renzi, ma tuttalpiù della riforma Treu, della riforma Biagi e di altre illustri manovrine che si sono susseguite negli anni.

La legge elettorale non ancora raggiunta, non ancora giudicata dal Parlamento, non firmata dal Presidente della Repubblica, non vagliata dalla Corte Costituzionale per il momento è quello che è: una proposta che non smuove affatto l'Italia dalla fanghiglia.
Come non si grida "sono padre" dopo l'avventura di una notte, così non si urli ai quattro venti "eppur si muove" dopo una riunione a porte chiuse fra un sindaco e un pregiudicato interdetto dai pubblici uffici.

I giornalisti del mainstream tornino tranquillamente a parlare di immobilismo: si sa che agli elefanti nelle cristallerie è meglio non concedere libertà di movimento incodizionata..

Poi vedrete che fra qualche mese o forse qualche anno passerà anche la "febbre dell'oro" di San Gimignano e allora tuoneranno i tromboni contro l'inettitudine di una classe dirigente incapace che ha condotto il paese sull'orlo del baratro, dimenticando che mentre quella classe dirigente regnava loro c'erano eccome a dare conforto con tratti di penna gentili e interviste al limite dello smielato.

Che l'immobilismo colpisca anche quelle penne, così che si possa vivere in una serena quiete catastrofica, piuttosto che in un teatrino dove va in scena la commedia mentre i manutentori fanno chiasso al grido di "s'inizino le riforme".        

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