Quando ho sentito dire la prima volta
che il “berlusconismo” era finito, avevo sette anni. Cose che non
si dicono ad un bambino – a maggior ragione se si rivelano poi
false.
Era il 1996, un allegro gruppi di
moderati fuoriusciti dalla “gloriosa macchina da guerra” e
guidati da un ex democristiano pacioccone lo mettevano in quel posto
al self made man di Arcore.
Agli europei di quell'anno la nazionale
italiana uscì miseramente alla prima fase ed io piansi; ancora non
sapevo cosa mi prospettava il futuro. Piangevo in maniera candida ed
angelica, innocente, come il nostro popolo uscito da poco dalle
stragi di mafia e dagli scontri ideologici.
Nel 2001 ero sufficientemente
grandicello per capire che Rutelli aveva le stesse possibilità di
diventare premier quante ne avevo io di portarmi a letto le mie
compagne di classe. Fatta la tara, è andata meglio a me che a
Rutelli.
Ricordo che i telegiornali – non
ancora colonizzati dagli uomini del presidente – ritraevano le due
campagne elettorali in maniera mostruosamente asimmetrica: Silvio era
sempre in mezzo a mille fighe, convention di imprenditori, Gran Galà
televisivi, stadi ricolmi di persone e idoli dello sport o dello
spettacolo. Francesco si aggirava belloccio per i mercati di pesce
della Portuense o della Garbatella. Non ero uno stratega politico ma
avrei tanto voluto conoscere i responsabili comunicazione e immagine
dell'Ulivo.
All'epoca la mia coscienza politica
consisteva nel tracciare linee di discontinuità fra il Milan e
Berlusconi (arduo compito anche per un von Clausewitz navigato) e nel
ripetere spasmodicamente formulette precostituite sugli argomenti del
giorno serviti in tavola. Cose tipo “il sindacato ha sempre
ragione”. Chissà perché uno cresce con gli scompensi d'affetto,
quando scopri che tua madre vuole più bene a Cofferati e Trentin che
a te.
L'anno prima (estate 2000) si era
compiuto uno dei drammi sportivi del nostro paese, la finale
dell'europeo persa all'ultimo istante contro gli odiati cugini
d'oltralpe. Berlusconi aveva insultato Dino Zoff, commissario
tecnico, oltre che patrimonio nazionale della nostra memoria.
Ma l'anno successivo a quelle dannate
elezioni (primavera 2001), un fatto ancora più grave. Venimmo
sconfitti agli ottavi di finale dei mondiali da un gruppo di beduini
della Corea del Sud (dannati capitalisti), mentre sullo stadio
piovevano le mazzette destinate ad entrare nelle tasche dall'arbitro
ecuadoriano Byron Moreno – faccia da spacciatore del clan Cuntrera
Caruana.
Furono
anni tosti: l'ultima volta di Luttazzi in televisione, il mio primo
sintagma latino – ad personam –, un commercialista per evasori
fiscali al Ministero dell'Economia, una parrucchiera senza macchia né
dolore con il cognome di un petroliere al Ministero dell'Istruzione.
Furono anni tosti, l'ho già detto?
Sull'altra
sponda le resistenza veniva organizzata da sindacalisti pronti a fare
il grande passo – Cofferati per l'appunto – e da registi
frustrati che organizzavano stupidi giochi infantili come il
girotondo sotto Montecitorio.
Non so
bene perché, ma sono convinto che alle vittorie elettorali di
Berlusconi e dei suoi uomini corrispondano altrettante sconfitte
calcistiche, e questa convinzione si fa più robusta ogni anno che mi
passa sul groppone.
Ed è
così che all'alba del mitico 2006, il sole tornò a splendere sul
cielo d'Italia.
La mia
prima fidanzatina ufficiale, i primi risultati scolastici, il primo
di un infinità di lavoretti a cazzo per comprarsi i dischi del Lato
Oscuro della Costa;
L'Unione
di tutte le forze progressiste: dai democristiani della Margherita
agli ex socialisti di Boselli, gli ex comunisti dei Ds e Bertinotti,
i Craxi vivi che non erano in esilio, i Verdi – l'armata
Brancaleone dei disperati senza disegno politico futuribile.
Strappano
venticinquemila voti in più che valgono oro. È una vittoria di
Pirro, ma basta questo per darci lo scossone. I mondiali di Germania,
quelli di Fabio Grosso e di “andiamo a Berlino Beppe”.
L'ultima
volta che un italiano ha esultato in faccia alla Merkel,
costringendola a interiori lacrime teutoniche. Barbari che non siete
altro, maledetti Visigoti, nemmeno le emozioni sapete provare.
Tra
calcio, fidanzate e Romano Prodi anche io ero una gloriosa macchina
da guerra. So che è difficile da accettare, ma a me Padoa Schioppa
lo faceva rizzare, ci davo dentro come un Don Giovanni in crisi
d'astinenza. Anche il sesso non è stato più lo stesso dopo.
Ci
pensa Walter Veltroni – uno che invece me lo faceva ammosciare con
la sua bontà del cazzo – a calarsi nella parte dell'ennesimo
kamikaze di via Botteghe Oscure.
Con
Berlusconi all'angolo, invece di infliggergli ferite mortali,
prenderlo a calci nel buio di Palazzo Madama, tagliargli le palle,
decide di dialogare.
Parola che entra da questo momento a far parte del lessico della non
sinistra italiana.
Silvio
si riorganizza, compra pullman e manifestanti e marcia su Roma. La
prima ufficiale manifestazione della destra nella seconda repubblica.
Tutta roba nostra che abbiamo svenduto al mercatino delle pulci.
Prepara
spallate al governo che non arrivano ma nel frattempo ordina ai suoi
giardinieri, travestiti da direttori di giornali e televisioni, di
preparare il colpaccio.
Gli
uomini di Mastella che non sapevamo di avere in casa ci tirano un
brutto scherzo – riuscendo pure a non essere linciati per strada.
Parte
la campagna elettorale di fuoco – da una parte – e di sgelo –
dall'altra.
Veltroni
chiama Berlusconi “il principale esponente del partito a noi
avverso” e Berlusconi chiama Veltroni “merda comunista”.
Scambio alla pari.
D'improvviso
siamo assaliti da un'orda di immigrati cannibali che scannano le
nostre donne e i nostri bambini. Romeni con il Dna mutabile stuprano
qualunque cosa si muova sulla superficie terrestre. Un'invasione di
Cartaginesi decisi a riprendersi il controllo del Mediterraneo.
Manco
a dirlo, in questa situazione da commedia dell'assurdo a spuntare il
confronto elettorale sono quei partiti che inneggiano all'uso delle
armi e del pisello.
Altri
anni difficili, sprecati dietro alle bizzarrie di nanetti e
pseudo-mafiosi, servetti da quattro denari e megafoni umani. Donne
del regime che ti fanno dubitare della parità dei sessi e uomini del
regime che ti fanno dubitare della parità dei sessi.
Il
tutto in un contesto che si faceva ogni giorno post-apocalittico per
chi il lavoro lo perdeva realmente e le imprese che chiudevano,
mentre il reame aspettava con ansia il verdetto dello specchio delle
sue brame – più che il verdetto dei tribunali.
Perdiamo
in serie e miseramente l'europeo 2008 e il mondiale 2010. Ho sempre
più ragione.
Le
marionette vengono scalzate dal governo unicum
con un colpo di spugna del burattinaio. Si fa una larga intesa che
appoggia un governo di tecnici – come ai bei tempi della prima
repubblica.
Niente
di speciale si dirà, ma basta questo a farci arrivare alla finale
dell'europeo 2012, dopo una replica affascinante dell'immortale sfida
Italia-Germania. Fortuna che esiste il rettangolo verde altrimenti
certe vittorie ce le potremmo proprio scordare.
La
larga intesa veste stretta però a Silvio, poco abituato a
condividere il potere o a trovarsi sul versante sbagliato del letto.
Via la fiducia ed altro giro di valzer.
Peste
e corna in questa campagna elettorale, come una maledizione che ci
impone di avere sempre qualcosa di peggio rispetto al giorno prima.
Si vedono veri o propri matti e aspiranti tali sbraitare nelle piazze
italiane saliva senza senso.
Berlusconi
fa la sua parte come al solito: racconta palle, alimenta paure,
racconta altre palle per risolvere le paure alimentate.
Questa
volta però con l'aiuto involontario degli acerrimi nemici mediatici:
i Santoro e i Travaglio che si fanno malmenare in diretta televisiva
solo per poter fare uno share da urlo. Scene pietose a cui speravo di
non dover assistere in tenera età.
Berlusconi
se li inchiappetta come vuole lui per ben due ore, in un monologo
senza fine e quando fa la cosa che sa fare meglio – cioè
sputtanare altre persone, in questo caso Travaglio – Santoro
sbotta: “AVEVAMO FATTO DEI PATTI onorevole. Non si trattavano le
vicende giudiziarie, non in questa sede!!!”. L'espressione chiave è
“avevamo fatto dei patti”. Sottinteso: dei patti con Berlusconi.
Giudicate voi.
Risultato
elettorale in sostanza tripartito. Nessuno ha la maggioranza al
senato e bisogna fare un intesa almeno a due per governare.
Grillo
e i cinque stelle mandano a fare in culo quei geni del
centrosinistra, quindi non resta che una replica dell'ultimo
governicchio made in Napolitano.
Quest'anno
non ci sono manifestazioni sportive e preferisco avere un governo
diverso da quello Letta che vincere i mondiali in Brasile l'anno
prossimo, perché nel frattempo sono cresciuto ed il calcio non è
più il generatore simbolico di ogni valore come un tempo. Che
maturità cazzo.
Quello
che ho visto fare in questi giorni è una sorta di onoranza funebre,
l'ennesima, a Silvio Berlusconi.
Per
dire, ieri sera Mentana ha mandato in onda il Caimano e condotto poi
un dibattito con Padellaro e altri homo videns della società
italiana. Ci ha tenuto a precisare che lui non crede affatto
Berlusconi sia finito, ma questo è irrilevante se il messaggio che
la tua trasmissione emette dice l'esatto opposto della tua reale
opinione.
Tra
l'altro senza voler fare troppo i puritani ma dicendo anche le cose
come stanno, ricordiamo che Mentana ha lavorato per Berlusconi e per
il suo conflitto d'interesse una buona decina d'anni, anche se adesso
sembra essersi accasato in altri più promettenti lidi.
Questo
per dire che uno non è mai solo servo o solo padrone, ma spesso
dipende dalle circostanze esterne.
Altro
avviso ai naviganti: chi sostiene che il Carlo Magno della Brianza
stia perendo assieme al suo progetto si ricordi che quell'uomo ha una
sorta di pompetta attaccata all'uccello per scopare venti volte a
notte – e per scaramanzia almeno tendo a non fidarmi.
In
secondo luogo il progetto non perisce mai insieme all'uomo che l'ha
progettato. Egli ne è solo un fattore accidentale.
Senza
tirare in ballo stupide ragioni genetiche difficilmente dimostrabili
in sede scientifica, non dimentichiamo che il berlusconismo è un po'
come il demonio: abita la nostra anima.
Azzardo:
forse una piccola dose di berlusconismo è addirittura consigliabile;
quel pizzico di cialtronaggine che fa si non ci si debba
necessariamente vergognare tutta la vita di aver bestemmiato in
pubblico; un filo d'olio di amore di sé; una spruzzata di cattivo
gusto e trashismo per chi – come me – ad esempio vuole fare
satira. Ma la cosa deve fermarsi qua, anche perché è una malattia
degenerativa a ciclo lungo.
Lo
sdoganamento totale di una non-morale basata sulla morale che l'ha
preceduta, l'idea dell'uomo solo al comando (di cui al massimo il
berlusconismo resta una parodia, senza le fosse comuni e le
sparizioni di persone), l'odio per la collettività e le sue regole,
l'odio per le istituzioni – legittimo se uno è anarchico o libero
pensatore – assurdo se uno vuole entrare a farne parte.
Tutto
ciò non morirà con la poltrona da senatore più discussa della
storia d'Italia.
Quindi,
invece che addormentarvi con in testa le omelie funebri di chi passa
tutta la vita a cantare la fine degli altri, magari fate una
preghierina.
Può
sempre aiutare la nazionale italiana.
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