sabato 5 ottobre 2013

La morte può attendere

Quando ho sentito dire la prima volta che il “berlusconismo” era finito, avevo sette anni. Cose che non si dicono ad un bambino – a maggior ragione se si rivelano poi false.
Era il 1996, un allegro gruppi di moderati fuoriusciti dalla “gloriosa macchina da guerra” e guidati da un ex democristiano pacioccone lo mettevano in quel posto al self made man di Arcore.
Agli europei di quell'anno la nazionale italiana uscì miseramente alla prima fase ed io piansi; ancora non sapevo cosa mi prospettava il futuro. Piangevo in maniera candida ed angelica, innocente, come il nostro popolo uscito da poco dalle stragi di mafia e dagli scontri ideologici.
Nel 2001 ero sufficientemente grandicello per capire che Rutelli aveva le stesse possibilità di diventare premier quante ne avevo io di portarmi a letto le mie compagne di classe. Fatta la tara, è andata meglio a me che a Rutelli.
Ricordo che i telegiornali – non ancora colonizzati dagli uomini del presidente – ritraevano le due campagne elettorali in maniera mostruosamente asimmetrica: Silvio era sempre in mezzo a mille fighe, convention di imprenditori, Gran Galà televisivi, stadi ricolmi di persone e idoli dello sport o dello spettacolo. Francesco si aggirava belloccio per i mercati di pesce della Portuense o della Garbatella. Non ero uno stratega politico ma avrei tanto voluto conoscere i responsabili comunicazione e immagine dell'Ulivo.
All'epoca la mia coscienza politica consisteva nel tracciare linee di discontinuità fra il Milan e Berlusconi (arduo compito anche per un von Clausewitz navigato) e nel ripetere spasmodicamente formulette precostituite sugli argomenti del giorno serviti in tavola. Cose tipo “il sindacato ha sempre ragione”. Chissà perché uno cresce con gli scompensi d'affetto, quando scopri che tua madre vuole più bene a Cofferati e Trentin che a te.

L'anno prima (estate 2000) si era compiuto uno dei drammi sportivi del nostro paese, la finale dell'europeo persa all'ultimo istante contro gli odiati cugini d'oltralpe. Berlusconi aveva insultato Dino Zoff, commissario tecnico, oltre che patrimonio nazionale della nostra memoria.

Ma l'anno successivo a quelle dannate elezioni (primavera 2001), un fatto ancora più grave. Venimmo sconfitti agli ottavi di finale dei mondiali da un gruppo di beduini della Corea del Sud (dannati capitalisti), mentre sullo stadio piovevano le mazzette destinate ad entrare nelle tasche dall'arbitro ecuadoriano Byron Moreno – faccia da spacciatore del clan Cuntrera Caruana.

Furono anni tosti: l'ultima volta di Luttazzi in televisione, il mio primo sintagma latino – ad personam –, un commercialista per evasori fiscali al Ministero dell'Economia, una parrucchiera senza macchia né dolore con il cognome di un petroliere al Ministero dell'Istruzione. Furono anni tosti, l'ho già detto?
Sull'altra sponda le resistenza veniva organizzata da sindacalisti pronti a fare il grande passo – Cofferati per l'appunto – e da registi frustrati che organizzavano stupidi giochi infantili come il girotondo sotto Montecitorio.

Non so bene perché, ma sono convinto che alle vittorie elettorali di Berlusconi e dei suoi uomini corrispondano altrettante sconfitte calcistiche, e questa convinzione si fa più robusta ogni anno che mi passa sul groppone.
Ed è così che all'alba del mitico 2006, il sole tornò a splendere sul cielo d'Italia.
La mia prima fidanzatina ufficiale, i primi risultati scolastici, il primo di un infinità di lavoretti a cazzo per comprarsi i dischi del Lato Oscuro della Costa;
L'Unione di tutte le forze progressiste: dai democristiani della Margherita agli ex socialisti di Boselli, gli ex comunisti dei Ds e Bertinotti, i Craxi vivi che non erano in esilio, i Verdi – l'armata Brancaleone dei disperati senza disegno politico futuribile.
Strappano venticinquemila voti in più che valgono oro. È una vittoria di Pirro, ma basta questo per darci lo scossone. I mondiali di Germania, quelli di Fabio Grosso e di “andiamo a Berlino Beppe”.
L'ultima volta che un italiano ha esultato in faccia alla Merkel, costringendola a interiori lacrime teutoniche. Barbari che non siete altro, maledetti Visigoti, nemmeno le emozioni sapete provare.
Tra calcio, fidanzate e Romano Prodi anche io ero una gloriosa macchina da guerra. So che è difficile da accettare, ma a me Padoa Schioppa lo faceva rizzare, ci davo dentro come un Don Giovanni in crisi d'astinenza. Anche il sesso non è stato più lo stesso dopo.

Ci pensa Walter Veltroni – uno che invece me lo faceva ammosciare con la sua bontà del cazzo – a calarsi nella parte dell'ennesimo kamikaze di via Botteghe Oscure.
Con Berlusconi all'angolo, invece di infliggergli ferite mortali, prenderlo a calci nel buio di Palazzo Madama, tagliargli le palle, decide di dialogare. Parola che entra da questo momento a far parte del lessico della non sinistra italiana.
Silvio si riorganizza, compra pullman e manifestanti e marcia su Roma. La prima ufficiale manifestazione della destra nella seconda repubblica. Tutta roba nostra che abbiamo svenduto al mercatino delle pulci.
Prepara spallate al governo che non arrivano ma nel frattempo ordina ai suoi giardinieri, travestiti da direttori di giornali e televisioni, di preparare il colpaccio.
Gli uomini di Mastella che non sapevamo di avere in casa ci tirano un brutto scherzo – riuscendo pure a non essere linciati per strada.

Parte la campagna elettorale di fuoco – da una parte – e di sgelo – dall'altra.
Veltroni chiama Berlusconi “il principale esponente del partito a noi avverso” e Berlusconi chiama Veltroni “merda comunista”. Scambio alla pari.
D'improvviso siamo assaliti da un'orda di immigrati cannibali che scannano le nostre donne e i nostri bambini. Romeni con il Dna mutabile stuprano qualunque cosa si muova sulla superficie terrestre. Un'invasione di Cartaginesi decisi a riprendersi il controllo del Mediterraneo.
Manco a dirlo, in questa situazione da commedia dell'assurdo a spuntare il confronto elettorale sono quei partiti che inneggiano all'uso delle armi e del pisello.

Altri anni difficili, sprecati dietro alle bizzarrie di nanetti e pseudo-mafiosi, servetti da quattro denari e megafoni umani. Donne del regime che ti fanno dubitare della parità dei sessi e uomini del regime che ti fanno dubitare della parità dei sessi.
Il tutto in un contesto che si faceva ogni giorno post-apocalittico per chi il lavoro lo perdeva realmente e le imprese che chiudevano, mentre il reame aspettava con ansia il verdetto dello specchio delle sue brame – più che il verdetto dei tribunali.

Perdiamo in serie e miseramente l'europeo 2008 e il mondiale 2010. Ho sempre più ragione.

Le marionette vengono scalzate dal governo unicum con un colpo di spugna del burattinaio. Si fa una larga intesa che appoggia un governo di tecnici – come ai bei tempi della prima repubblica.
Niente di speciale si dirà, ma basta questo a farci arrivare alla finale dell'europeo 2012, dopo una replica affascinante dell'immortale sfida Italia-Germania. Fortuna che esiste il rettangolo verde altrimenti certe vittorie ce le potremmo proprio scordare.

La larga intesa veste stretta però a Silvio, poco abituato a condividere il potere o a trovarsi sul versante sbagliato del letto. Via la fiducia ed altro giro di valzer.

Peste e corna in questa campagna elettorale, come una maledizione che ci impone di avere sempre qualcosa di peggio rispetto al giorno prima. Si vedono veri o propri matti e aspiranti tali sbraitare nelle piazze italiane saliva senza senso.
Berlusconi fa la sua parte come al solito: racconta palle, alimenta paure, racconta altre palle per risolvere le paure alimentate.
Questa volta però con l'aiuto involontario degli acerrimi nemici mediatici: i Santoro e i Travaglio che si fanno malmenare in diretta televisiva solo per poter fare uno share da urlo. Scene pietose a cui speravo di non dover assistere in tenera età.
Berlusconi se li inchiappetta come vuole lui per ben due ore, in un monologo senza fine e quando fa la cosa che sa fare meglio – cioè sputtanare altre persone, in questo caso Travaglio – Santoro sbotta: “AVEVAMO FATTO DEI PATTI onorevole. Non si trattavano le vicende giudiziarie, non in questa sede!!!”. L'espressione chiave è “avevamo fatto dei patti”. Sottinteso: dei patti con Berlusconi. Giudicate voi.

Risultato elettorale in sostanza tripartito. Nessuno ha la maggioranza al senato e bisogna fare un intesa almeno a due per governare.
Grillo e i cinque stelle mandano a fare in culo quei geni del centrosinistra, quindi non resta che una replica dell'ultimo governicchio made in Napolitano.

Quest'anno non ci sono manifestazioni sportive e preferisco avere un governo diverso da quello Letta che vincere i mondiali in Brasile l'anno prossimo, perché nel frattempo sono cresciuto ed il calcio non è più il generatore simbolico di ogni valore come un tempo. Che maturità cazzo.

Quello che ho visto fare in questi giorni è una sorta di onoranza funebre, l'ennesima, a Silvio Berlusconi.
Per dire, ieri sera Mentana ha mandato in onda il Caimano e condotto poi un dibattito con Padellaro e altri homo videns della società italiana. Ci ha tenuto a precisare che lui non crede affatto Berlusconi sia finito, ma questo è irrilevante se il messaggio che la tua trasmissione emette dice l'esatto opposto della tua reale opinione.
Tra l'altro senza voler fare troppo i puritani ma dicendo anche le cose come stanno, ricordiamo che Mentana ha lavorato per Berlusconi e per il suo conflitto d'interesse una buona decina d'anni, anche se adesso sembra essersi accasato in altri più promettenti lidi.
Questo per dire che uno non è mai solo servo o solo padrone, ma spesso dipende dalle circostanze esterne.
Altro avviso ai naviganti: chi sostiene che il Carlo Magno della Brianza stia perendo assieme al suo progetto si ricordi che quell'uomo ha una sorta di pompetta attaccata all'uccello per scopare venti volte a notte – e per scaramanzia almeno tendo a non fidarmi.

In secondo luogo il progetto non perisce mai insieme all'uomo che l'ha progettato. Egli ne è solo un fattore accidentale.
Senza tirare in ballo stupide ragioni genetiche difficilmente dimostrabili in sede scientifica, non dimentichiamo che il berlusconismo è un po' come il demonio: abita la nostra anima.
Azzardo: forse una piccola dose di berlusconismo è addirittura consigliabile; quel pizzico di cialtronaggine che fa si non ci si debba necessariamente vergognare tutta la vita di aver bestemmiato in pubblico; un filo d'olio di amore di sé; una spruzzata di cattivo gusto e trashismo per chi – come me – ad esempio vuole fare satira. Ma la cosa deve fermarsi qua, anche perché è una malattia degenerativa a ciclo lungo.
Lo sdoganamento totale di una non-morale basata sulla morale che l'ha preceduta, l'idea dell'uomo solo al comando (di cui al massimo il berlusconismo resta una parodia, senza le fosse comuni e le sparizioni di persone), l'odio per la collettività e le sue regole, l'odio per le istituzioni – legittimo se uno è anarchico o libero pensatore – assurdo se uno vuole entrare a farne parte.

Tutto ciò non morirà con la poltrona da senatore più discussa della storia d'Italia.
Quindi, invece che addormentarvi con in testa le omelie funebri di chi passa tutta la vita a cantare la fine degli altri, magari fate una preghierina.


Può sempre aiutare la nazionale italiana. 

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