martedì 1 ottobre 2013

X Factor Usa

Ad uso e consumo del vostro abbrutimento.

Dimenticate le raglie di bamba spirate dagli occhi di Simona Ace-Ventura mentre cerca, con scarsi risultati, di non bombarsi il primo terzino della Sampdoria abbronzato che le finisce fra le mani; dimenticate Mara mamma-emilia Maionchi e le sue metafore di marzulliana memoria; scordatevi di Elio-si-faccio-satira-ma-sono-un-cane-mercenario che per due lire di celebrità venderei anche mia madre al direttore della Rai; e soprattutto, cancellate dalla memoria il ricordo di Morgan, delle sue terapie omeopatiche per naso e depressione, della sua chioma cucca-sedicenni-hipster anemiche, della sua filosofia bodleriana (si, scritto così!) acquisita in compagnia di Asia Argento al festival della salute cagionevole. E – se ce ne fosse bisogno – dimenticate il nome di “coso, dai Francesco, dai quello figlio di quello dei Pooh”.
Ora siamo negli States, dove osano le aquile, dove il pop è religione, dove per avere l'X Factor non basta il sudore, il lavoro duro o l'essere protestante. Per avere l'X Factor, devi avere l'X Factor.

Music & Songs & Entertainment
Chi ancora fosse convinto che i Talent Show facciano effettivamente perno sull'esistenza di un talento, forse, ha sbagliato epoca. L'ultimo vero Talent, fatto come Dio comanda, risale ai ludi gladiatori organizzati da Cesare l'imperatore, quindi se vi doveste accomodare in poltrona accanto a vostra madre che non vede l'ora di ascoltare un turpe usignolo di cinque anni dalla candida voce magari cambiate canale e cercate Ben Hur o il Gladiatore, almeno lì la musica (discutibile per carità) esiste realmente.
Ma come intuibile dal titoletto di questo paragrafo è pur sempre vero che non manca affatto l'intrattenimento per anime belle che s'ingozzano di Cheddar e salsa Worcester davanti allo schermo: sparatorie, ambulanze che irrompono a sirene spiegate sul palco, travoni di ogni sorta provocano i giudici con disgustose mossette anni '80, dichiarazioni di amore, numeri di telefono, grida, applausi, sborrate, lacrime rubate e frasi da film porno con il sorriso sulle labbra – e chissà se è solo un sorriso. Tutti singoli attimi, indistinti e indistinguibili fra loro che scandiscono la cronologia della trasmissione, senza causalità di sorta, in barba a tutte le teorie sul divenire del tempo ed il mutare dell'essere, loro sono sempre lì, immutabili, come le statue del monte Rushmore – i presidenti che diedero la libertà alla nazione, e la schiavitù al resto del mondo.
Chi sono?

The Jury

Simon Philip Cowell (7/10/1959 – you can't kill me):
produttore discografico e televisivo di successo, annusa il talento (ah se lo annusa!) anche a distanza di chilometri, pardon miglia, ha creato format di notevole successo quali America's got Talent, Britain's got Talent and Australia's got Talent. Pare che andasse molto bene in geografia.
Non fatevi ingannare dal visino sono-un-ufficiale-gentiluomo e dalle gote rigonfie di gomma vietnamita, non esiterebbe a spararvi per gioco solo per testare le sue abilità di cecchino. È convinto che in Ohio esistano solo checche e tori e visto che voi non avete le corna la sua reazione potrebbe essere sgradevole. Se fissate alla moviola la sequenza dello sbarco in Normandia in Salvate il soldato Ryan, per un istante si legge sul suo labbiale “ho ucciso io tutti i fratelli di Matt Damon, cazzo volete?”.

Britney Jean Spears (2/12/1981 – a breve, sono come il latte di pecora aperto da una settimana):
Icona della cultura pop e oggetto di dibattito nei porti di Long Beach, California, vive da anni il dramma della caducità. Anche se per strada continuano a fermarla le sue ore volgono al termine ed un conto aperto presso il suo chirurgo plastico (Freddy Krueger almeno a giudicare dalle incisioni sulla tempia) lungo quanto i gemiti sexy di Baby one more time non la fa dormire in pace. Per anni è stata l'esempio da seguire per le ragazzine americane, ma s'è presto arresa alla concorrenza di Condoleezza Rice, molto più pedagogica - a parte qualche piccolo scivolone di politica estera. È stata l'ectoplasma notturno che faceva visita ai machi di tutto il mondo e, se qualcuno ha ancora voglia di scaricarsi Crossroads – indimenticabile capolavoro tratto dalla sua biografia – ci si può ancora divertire con un briciolo di fantasia e una spruzzata di cattivo gusto.
Evitare attentamente le foto non ritoccate da Salvador Dalì, nuocciono gravemente alla salute. Non somministrare sotto i dodici anni. Leggere attentamente il foglietto illustrativo.

L.A. Raid (7/06/1956 – se Morgan Freeman è realmente Dio non contateci troppo amici):
Uomo di colore, alto 180 cm, corporatura media, è vestito di bianco, si dirige fra la 67esima e Broadway, nessuno spari senza aver ricevuto prima un mio ordine, lo voglio vivo quel bastardo.
Adorerei vederlo finire in un carcere del Sud (Alabama, Mississipi, fate voi) solo per togliergli quel sorriso onnipresente dalla faccia, quel sorriso da presidente del senato italiano. Per nostra sfortuna, a parte muoversi come un rapper strafatto di acidi, L.A. Raid è il classico nero integrato; si comporta da bianco in ogni aspetto della sua esistenza: si veste da bianco, mangia da bianco, fa un lavoro da bianco e si scopa le nere – nulla da eccepire.
Ha il groove nel sangue, il flow gli scorre nelle vene, sente il richiamo dei suo avi congolesi e forse è per questa ragione che ha scoperto i One direction, gli ricordano i lamenti degli animali nella savana.
Ha una spiccata tendenza ad esaltare leggermente troppo i concorrenti, in particolare minorenni, che vengono apostrofati dai suoi genuini complimenti:- you're a fuckin genius, nobody in the world as you, better than Michael Jackson. Quando poi questi vengono eliminati alla puntata successiva, capite anche voi che il padre texano della bambina illusa dall'uomo nero, ex forze speciali, possa rispolverare i ferri e riscoprire il piacere della caccia.

Demi Lovato (20/08/1992 – non è così semplice liberarvi di me):
Ennesima mela marcia generata dai massoni della Disney, ha impiegato poco tempo a scuotersi di dosso il ruolo di tenerona frigida che le avevano appiccato a forza in Camp Rock; a oggi è conosciuta fra gli addetti ai lavori con l'affettuoso nomignolo di ti-spacco-tutta-Demi anche se il grande pubblico meglio la ricorda come ti-spacco-tutta-Lovato.
Musicalmente competente quanto può esserlo Moreno di “Amici”, il suo personaggio sembra fatto apposta per attirare sul palco di X Factor le boy band di tutta la confederazione. Ciuffetti da minchione, occhio verde sognante, canotta bianca da meccanico e cavallo basso, passano più tempo a flirtare con la Demi Innamorata che ad emettere rigurgiti inascoltabili dalla bocca. Il fatto che ella risponda anche alle occhiate dei Blue, che desideri il loro piccolo cazzettino minorenne, non è eccitante, non più di una chiamata al Telefono Azzurro dopo aver subito gli abusi di tuo zio.
Peculiarità linguistica tutta personale: è incapace di usare il discorso indiretto ma dipende dalle scuole che ha frequentato a Camp Rock. Come sempre è colpa degli insegnanti.

Si potrebbe andare avanti per pagine a descrivere gli aspetti morbosi di X Factor Usa, come ad esempio il numero di bombe al cortisone che si fa la Spears quando chiama su skype Morgan per avere il conforto di un amico. Ma il rischio di essere ripetitivi, l'assenza di voglia e l'orario ci inducono ad abbandonare e lasciare a voi, venticinque lettori, il compito di approfondire, di squarciare il velo di silenzio, la coltre di indifferenza che ricopre questo crimine contro l'umanità. Che siate voi i fortunati o le fortunate che possano un giorno trovare la Lovato segregata in una stanza di un motel, L.A. Raid che passeggia lungo delle bianchissime strisce pedonali, Simon Philip Cowell a tiro della vostra fionda.
Ma se il rischio di essere ripetitivi, l'assenza di voglia o l'orario vi inducono a desistere, beh, allora è veramente finita, la battaglia è irrimediabilmente persa.




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