venerdì 25 luglio 2014

"Ho sognato che la Concordia esplodeva a Genova". Viva le metafore

Abbiamo tutti assistito esterrefatti al recupero del cadavere della Costa Concordia dalle profondità degli abissi, gioito assieme agli operai, gli amministratori delegati, i ministri, che non vedevano l'ora di liberarsi la coscienza da un relitto ingombrante, per poter gridare all'unisono: " Un lavoro ben fatto".

Abbiamo sproloquiato per giorni a proposito di metafore, organizzato simposi sulle pagine dei quotidiani nazionali, per affermare quanto quella nave ricordi da vicino il nostro bel Paese, incarni l'identità patriottica di un popolo sempre sull'orlo del baratro, a un centimetro da una caduta senza via di scampo, che all'ultimo momento rinsavisce e con un glorioso scatto di reni, afferma la superiorità della razza mediterranea - un po' come avvenne a Italia-Germania del '70, quando tutto sembrava perduto ma alla fine arrivò "Rivera, Rivera, gol di Rivera!".

Proprio vero che siamo un popolo di "navigatori e poeti", ma anche filologi, critici letterari, semiologi, Ughi Foscoli, almeno a giudicare dall'insistenza con la quale rilasciamo metafore al minuto, in una sorta di gigantesco acceleratore universale di figure retoriche a scatto fisso, che funge da bacino di contenuti per articolisti mammiferi col riflesso condizionato.
La Concordia è una metafora. E va bene. La Nazionale è una metafora. E va bene. Tua madre che scoreggia al mattino prima di lavarsi i denti è una metafora. E ancora tutto va bene.

Ora pensate che cosa accadrebbe (Dio ce ne scampi ovviamente), se nel viaggio di ritorno verso Itaca-Genova della nave-crociera dal nome romantico, qualcosa andasse storto, un intoppo che nessuno fra la miriade di ingegneri balzati alle ribalte della cronaca avrebbe potuto prevedere.
Tipo la Concordia riaffondasse trascinando con se anche le navi da riporto, o esplodesse proprio nell'atto di attraccare in Liguria, sparisse dai radar per non fare mai più ritorno alla "normalità".
Dopo i primi istanti, di panico e terrore, partirebbero infinite analisi pipponeggianti psicanalitiche su quanto la Concordia rappresenti un'efficace metafora del Sistema-Italia, una nazione che affonda nel fango, trova le forze di risollevarsi elaborando il lutto dei propri infantili vissuti di coscienza, e quando tutto sembra andare per il meglio, muore.
Altro giro, altro regalo: nuova epocale e miracolosa spedizione di esperti, archeologi che accorrono come api sul miele, dichiarazioni contraddittorie sui tempi; si scoprirebbe che anche il Capitano della nave adibita al recupero s'intratteneva in cabina di comando con consorti moldave - variazioni sul tema gentilmente offerte dalla geografia politica -, nuovo sdegno della società civile, inquisizioni mediatiche che portano a un nulla di fatto, per finire con nuove e sigillate bottiglie di spumante Gancia da stappare fra le lacrime di gioia dei parenti - e ovviamente nuove metafore con le quali inzuppare il proprio di curriculum di mancati prosatori, un esempio per tutte "Il Gigante arenato".

Altro che poeti e navigatori, siamo un popolo freudiano che ha perso il numero dell'analista.
Più che metafore ci servirebbero parafrasi - o in assenza di queste, referti medici.

     

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