martedì 1 ottobre 2013

La febbre dell'oro e la ricerca della felicità

Cani, lupi, setacci, villaggi, ubriaconi, avventure, donne che ballano, radiose aurore, morti, canti, oro, tanto oro e gelo, tanto gelo.
Macchine, sesso, potere, amori, amicizie, scuole, diplomi, tossici, puttane, famiglie, parchi, programmi, reti, grida, famiglie, soldi, tanti soldi e noia, tanta noia.
C’è qualcosa di vicino e di lontano allo stesso tempo, che accomuna e distanzia in un sol movimento di palpebra il nostro mondo –forse reale- e quello narrato delle corse all’oro, forse inventato.
Uno strettissimo cordone ombelicale che collega attraverso i decenni l’Alaska con Wall Street, ricopre con il ghiaccio del Klondike i prati verdi di Central Park, riconnette il sogno americano alla propria dimensione mitica, magica, alla menzogna della propria favola.
Maledettamente vicini: gli stessi sogni, gli stessi conflitti, gli stessi crimini e quella dannata polvere gialla ancora muove i destini umani verso gli orizzonti del coraggio e dell’infamia.
Maledettamente lontani: “Ed io pensai al mio grande West, all’immensità sotto il cielo, all’aria senza confini che sarebbe bastata per mille Londre”; così scriveva John Griffith London alias Jack London nel lontano, ma in fin dei conti vicino 1902.
Ogni mondo dovrebbe possedere un suo “West”; i fenici lo avevano, Colombo lo aveva, London lo aveva. Ogni pioniere una nuova frontiera, ogni Europa un’America, ogni scrittore uno Swinburne.Dovremmo ancora “poter sentire e nel medesimo istante smettere di farlo”; dimorare su letti pluviali ricchi di pepite luccicanti, e scavare a mani nude nella roccia fintanto che una venatura aurea di felicità non ci sorrida; vagabondare per metropoli sconfinate travestiti da accattoni, da diseredati, solo per mirare l’incoronazione di un altro sovrano da decapitare; e affogare di volontà nell’oceano “trovando il tempo di sentirsi riconoscenti alla vita per quest’ultima cortesia”; fissare negli occhi la rabbia rivoluzionaria di un chico messicano e quella primordiale, primitiva di un cane tornato lupo, di un uomo tornato scimmia.

Dovremmo poter fare tutto ciò, ma siamo troppo vicini. Siamo troppo lontani.

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