Alla
ricerca di una verginità perduta: così si potrebbe definire la fase
storica che stanno attraversando gli editorialisti italiani da
qualche mese a questa parte. Un bel siglone, pomposo almeno quanto la
terminologia made in antica Roma rispolverata per l’occasione dai
tromboni della carta stampata.
Dimentichiamoci
dei Panebianco di turno, che non più di tre anni fa non esitavano ad
apporre la propria firma su di un papello nel quale la profonda tesi
sostenuta era: il grande merito di Berlusconi è l’aver riproposto
sulla scena politica la questione della pressione fiscale; il grande
demerito è non aver mai fatto nulla per risolvere il problema;
l’inquietante quesito finale: verrà o non verrà ricordato come un
liberale? Roba da far impazzire Hegel. (ai
posteri l’onere di una risposta)
Dimentichiamoci
anche degli intellettuali yuppie, tutti laureati alla London School
of Economics, dilettatisi per anni ad infarcire i fondi della
“Stampa” o del “Sole” con inglesismi maccheronici degni di
Alberto Sordi, o con concetti perlomeno dubbi della filosofia
politica quali “capitale umano” e “regime di mercato etico”.
Oggi,
nel pieno dramma della “post contemporaneità industriale”, pare
che non nei licei, né nelle università, bensì sulle principali
testate, siano tornate in voga le cosiddette lingue morte ed i
grandi classici della letteratura – pure loro, in stato comatoso.
Si
osserva con un mix di stupore e disgusto alla facilità con la quale
vengono servite insalate di “tertium datur”, inalati vapori alla
“mutatis mutandis” e pippate strisce di “conditio sine qua
non”, come se i sintagmi latini più inflazionati dai tempi di
Ponzio Pilato, potessero in qualche modo redimere gli stessi che,
fino all’altro ieri, impartivano, dall’alto dei loro megafoni,
lezioni di marketing aziendale e nozioni di economia spiegata ai
poveri.
I
giochi si fanno ulteriormente interessanti quando i Cicerone de
noiartri, trasformati in prestigiatori, estraggono da cilindri
impolverati quel che resta nella memoria di un Abbagnano letto male
ai tempi del ginnasio: il Nietzsche più innocuo che si ricordi spara
cannonate sulla crisi economica che ovviamente aveva previsto;
Leviatani a non finire sguazzano fra onde d’inchiostro e omerici
ciclopi; si sprecano un’infinità di passi evangelici, in una sorta
di auto esorcismo collettivo. Per non parlare delle strizzatine
d’occhio al pubblico quando ad essere citati sono i must delle
campagne pubblicitarie “Baci Perugina”, gli evergreen
dell’aforisma da rimorchio: i vari Shakespeare, la Arendt ,
Socrate, Wittengstein, Agostino, Ghandi e Frost.
Non
chiedete spiegazioni agli autori di questa bislacca accozzaglia;
probabilmente vi risponderebbero in coro: “ad majorem gloriam
spiritus umani”.
Nessun commento:
Posta un commento