domenica 18 maggio 2014

Perché gli economisti sono tutti stronzi?

È una di quelle domande in grado di colmare i vuoti di conversazione, aprire infiniti dibattiti superflui che rendono il mondo un posto migliore nel quale dimorare.
Le risposte sono molteplici: forse stilizzare i fatti della vita in forma di grafici, indicatori e tabelle, trasforma il concetto stesso di empatia umana in un insopportabile fardello.
Forse l’azione dello studioso di scienze sociali non deve essere condizionata da banali pregiudizi e considerazione di ordine morale.
Forse il mandato deontologico dell’economista prevede di descrivere il reale, non modificarlo – compito che spetta invece al politico.
O forse, come ci ha suggerito Jürgen Habermas nel pamphlet Creare un’Etica: Vita e Lavoro nella società della tecnica: “C’è chi nasce stronzo per natura and there’s nothing you can do about it”. Sembra in effetti la spiegazione più convincente.
A riprova della tesi fin qui sostenuta, andiamo ad analizzare alcuni casi empirici di stronzaggine della professione economica – si accettano suggerimenti.
Karl Marx
I più puristi già staranno sbraitando: Karl Marx non era un economista ma un sociologo (dicono gli economisti), non un sociologo ma un filosofo (dicono i sociologi), non un filosofo ma uno storico (dicono i filosofi), non uno storico ma un pugile e avanti così.
Promettiamo di impiegare i migliori anni della nostra vita per dirimere questo scottante problema di attualità, ma per il momento basti sapere, ai fini delle discussione odierna, che qualunque cosa fosse Karl Marx, fu lui a sdoganare definitivamente lo stile punchline violenta nella discussione economica e politica. Ed è questa la ragione del suo successo.
In un bel libretto uscito per Feltrinelli nel 2007, vengono raccolti alcuni scritti del pensatore tedesco mai pubblicati precedentemente in lingua italiana: confidenze, lettere, rapporti, appunti per nuovi saggi – insomma il pane quotidiano dell’intellettuale pre-Klaus Davi.

Nessun commento:

Posta un commento