mercoledì 26 febbraio 2014

Le priorità dei posteriori

Sembra incredibile ma il nuovo esecutivo di supereroi e donne struccate ha già elencato, nel giro di settandue ore, le 157 priorità sulle quali lavorare nelle prossime tre settimane e mezzo, per risollevare l'Italia ancorata al fondale fangoso di un noto bacino acquifero caucasico che prende il nome di "mare di merda".

Negli ultimi tre giorni sono stati messi i puntini sulle "i" a quell'immenso magma di inefficienza che tiene il paese "legato al palo" con una rapidità che non si vedeva dai tempi delle tavolozze di pietra legate al collo del povero Mosè.

Un esercito sterminato di ministri, sottosegretari, responsabili economici, irresponsabili politici, consulenti dei consiglieri, delfini e altri mammiferi socievoli si sono prodigati nella "lista della vergogna": il problema è il lavoro, anzi no i pani industriali, anzi no il fisco, anzi no la pubblica amministrazione, anzi no il rientro dei capitali, anzi no gli sprechi della politica, anzi no la spesa pubblica, anzi no la cassa integrazione in deroga, anzi no il debito, anzi no le partite correnti, anzi no l'evoluzione della specie - oggi è stato il turno del povero e malconcio sistema scolastico italicum che s'era oramai convinto di essere sfuggito, nascondendosi in un angolo, alla falce depuratrice degli Harry Potter di Palazzo Chigi.

Mi pare sia inutile ribadire che il problema non è mai il "fisco" o la "scuola" tout court senza aggettivazione di sorta - queste sono solo formulette magiche per strappare il plauso di platee televisive piuttosto benevolenti e titoloni in WordArt sulla carta stampata.

Ma poniamo anche per un istante, in piena sospensione dell'incredulità, che abbiano completamente ragione e che i "problemi" siano quelli elencati in precedenza (altri se ne aggiungeranno nei prossimi giorni) e che il nuovo esecutivo con annessa maggioranza parlamentare, in un impeto di forza creatrice, sia intenzionato ad affrontarli tutti da qui fino a Pasqua perché poi c'è da andare in vacanza e Agnese s'incazza se il tavolo della cucina si trasforma in ufficio ad interim.

Resterebbe comunque il piccolo problema delle coperture economiche, per il momento evocate alla maniera delle anime dei morti durante una seduta spiritica familiare.

Voglio dire: se si ha l'intenzione di elaborare una forma di assegno universale supergalattico che difenda anche i proletari di venere dalla perdita di potere d'acquisto, bisogna indicare con quali soldi s'intende farlo, perché se quei soldi non esistono, tranne che nella testa della Ragioneria dello Stato, semplicemente non se pò fa'!

Non è colpa mia - e nemmeno di Renzi&soci - se la matematica è infame, al massimo prendetevela con Pitagora ed Euclide: di certo non basta ripetere che una cosa è giusta e buona e bella per far si che questa si avveri, come hanno scoperto loro malgrado tutti i bambini diventati recentemente adulti - fiorentini esclusi s'intende.

Tuttalpiù si può realizzare un bel assegno universale allo scoperto il cui importo può essere cambiato in antimateria presso gli sportelli della Banca Centrale con sede nella Via Lattea - come noto le vie del Signore sono infinite, alcune di latte e altre di poppanti.

Invece si sentono invocare i soliti "uomini della grazia", come Carlo Cottarelli aka spending review, il quale manco se fosse Jack London a caccia di pepite e vene aurifere nel Klondike potrebbe aiutarci.
Oppure Pier Carlo Padoan - o come lo chiamo io, l'uomo con l'apocope al cognome - che più di caduta delle vocali finali si dovrà occupare di caduta finale con vocali urlate dal precipizio.

A loro due, in particolar modo, l'arduo compito di trovare i petroldollari nelle pieghe del bilancio per finanziare almeno mezza delle promesse fatte che tanto suonano come appelli disperati alla sorte.

E visto che quest'oggi, come si diceva, è stato il turno della scuola - con tanto di visita Renziana in stile Papa presso un edificio scolastico del trevigiano - facciamo quantomeno un paio di appunti sulla questione: diffidiamo politici e non, frequentatori di piattaforme social e solipsisti de noartri, dall'infuocare nuovamente sterili polemiche sulla Storia dell'Arte o della mica Arte nei programmi di istruzione secondaria.

Noto con piacere che anche sulle sponde statunitensi dell'Atlantico l'argomento suscita scalpore, provocando faide e inguaribili strappi fra Mr. Obama e la sua base elettorale: i figli di Andy Warhol.

Il punto centrale è che se la scuola, l'università o la ricerca - come si dice con frequenza quotidiana - devono essere il motore dello sviluppo e dell'integrazione nel mondo del lavoro (o almeno anche  questo), non si può immaginare, senza sganasciarsi dalle risate, un datore o un ufficio risorse umane che si scervelli per giorni nel tentare di capire se il miglior candidato è quello che conosce la data della pubertà di Caravaggio o meno.

Escluse le professioni strettamente connesse a questo tipo di conoscenza: professori e docenti, curatori, personale del Ministero per i Beni Culturali, giornalisti di settore (etc. etc.) per i quali invece sarebbero consigliabili una serie di corsi intensivi di aggiornamento al fine di scoprire se la Reggia di Caserta si trovi realmente a Caserta o magari in Vietnam.

Io credo che esistano cose che non si possono comprare, fra le quali annovero alcuni tipi di conoscenza o quantomeno alcune nozioni: dopo di che se un ministro pensa di sostituire le due ore del sabato di Storia dell'Arte, generalmente usate dagli studenti per uscire prima da scuola, con due ore di diritto, o di filosofia, o di cucina, non mi strapperei le vesti chiedendone la crocifissione - è semplicemente una scelta, peraltro marginale, attraverso la quale non passa il tramonto dell'occidente.

Brutto a dirsi, ma anche le riforme dell'istruzione non si fanno con pane e buone intenzioni, ma con i soldi o come nel caso di quelle recenti, con le forbici: si discuta di tutto, dai programmi ministeriali alle forme di valutazione del personale, dal numero di ore all'edilizia scolastica, dagli investimenti in laboratori e ricerca alle classifiche Ocse, ma lo si faccia evitando per una buona volta quell'atteggiamento nichilista largamente diffuso: pensare che i mali (ammesso che ce ne siano) possano dipendere da unica e nefasta causa (i prof. che non lavorano, le reti wireless e chi più ne ha più metta).

Il mondo, al contrario delle zucche vuote, non funziona per compartimenti stagni non comunicanti e, se per è questo, nemmeno secondo il razionale quanto fuorviante principio della causa e dell'effetto: non si vive sui piatti di una bilancia dove basta spostare della massa da un parte all'altra per ottenere l'equilibrio sperato e chiedere infine la ricevuta al macellaio.

Il massimo della vita sarebbe poter insegnare il buon senso, ma purtroppo pare che quello o ce l'hai, o lo devi chiedere in prestito e in tempi di credit crunch gli interessi da versare al prestatore sono fin troppo elevati.

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